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290 | dialogo intorno alla vecchiezza |
Certamente fuori di questo dilemma, non avvi altra via.
Perchè dunque temere, se morto, o avrò finito d’essere sensibile, o ben anco posso andare alla volta della felicità?
Infatti non è forse presuntuoso quell’uomo, per quanto giovine sia, il quale nel mattino vantasi di sapere che sarà tuttora vivente la sera? Poichè nella giovanile età più frequenti sono che nella nostra i pericoli della vita. I giovinetti vengono colti più facilmente dalle malattie; le soffrono più gravi, e ne risanano con maggior difficoltà. Laonde assai pochi fra essi arrivano alla vecchiezza. E volesse pure Iddio che molti la toccassero, chè gli affari della repubblica procederebbero con regola migliore. Il senno, la ragione, la fermezza essendo consueto retaggio degli uomini attempati, se questi mancassero, cadrebbe nel disordine ogni buon governo civile.
Ma ritorno all’idea della morte imminente. - Perchè far carico alla vecchiezza d’un funesto accidente, comune alla stessa adolescenza? La perdita dall’ottimo figlio mio, quella de’ tuoi fratelli che avevano la prospettiva de’ primi onori, è pur troppo la prova, o Scipione, che la morte non rispetta differenza d’età.
Ma la speranza di lunga vita che risplende al giovinetto, manca al vecchio. - Speranza malintesa, dicono taluni. Calcola da sconsigliato chi tiene per vero ciò che è falso, e per certo ciò che non è. - Certamente, osservo, il vecchio non può sperar nulla; trovasi però a migliori condizioni del giovinetto perchè già ottenne ciò che l’altro aspetta tuttora. Questi anela di vivere la lunga età, che dall’altro fu già vissuta.