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di marco tullio cicerone 275

d’un banchetto, ammaliato dai vezzeggiamenti d’una cortigiana, percosse a morte un prigioniero già condannato per capitali delitti. Questo misfatto passò inosservato alle investigazioni di suo fratello Tito, assunto a Censore poco tempo prima che io vi fossi chiamato. Ma da me e da Flacco fu considerata imperdonabile così scellerata licenza che aggravava il disonore della pubblica carica colla privata ignominia.

XII. — (Non disdicono ai vecchi gli onesti godimenti della mensa.) M’avvenne più volte che i maggiori miei facessero racconto, siccome di fatto accaduto nella loro età giovenile, che Cajo Fabrizio allorquando stava Legato della repubblica presso il Re Pirro, facesse meraviglie di quanto gli narrò il tessalo Cinea di certo ateniese, il quale tenevasi in conto di filosofo1 ed affermava la voluttà servire d’incitamento a tutte le azioni dell’uomo. Marco Curio e Tito Coruncanio, all’udire codesta sentenza, fecero voti che Re Pirro e i Sanniti accettassero per vera quella dottrina nella certezza di poterli vincere più facilmente resi imbelli per sì brutale passione.

Contemporaneo di Marco Curio e cinque anni prima che questi venisse al Consolato, Publio Decio, console per la quarta volta, faceva sagrificio della propria vita alla Repubblica. Era questo Curio amicissimo di Fabricio e di Coruncanio; ed essi, così il costume di sua vita che l’eroico atto di Decio considerando, avvisavano esservi certamente alcun che di specie più bella e nobile che per spontanea attrattiva

  1. Epicuro.