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270 | dialogo intorno alla vecchiezza |
contezza del nonagenario Massinissa ospite tuo e dell’avo. Di quell’uomo, che postosi in viaggio a piedi, non prendeva certo una cavalcatura; e se a cavallo, non discendeva per lungo che fosse il cammino, nè per gelo o per pioggia coprivasi il capo: di corpo adusto e muscoloso non mancò neppure ai doveri ed al carattere di Re.
Laonde l’esercizio e la temperanza giovano ai vecchi per conservare una parte del pristino vigore.
XI. — (Il senno supplisce ne’ vecchi la fisica debolezza. - Nella vecchiezza vengono meno le forze, nè vi sarebbe ragione di pretenderne da essa. Per legge è dispensata da ogni atto, dove sia mestieri vigoria di corpo; nessun obbligo ci corre di fare quelle cose a cui siamo inetti, e nemmeno di adempirle nella misura che le forze nostre ce lo permetterebbero. Poichè tale è l’imbecillità di molti vecchi da renderli incapaci d’ogni ufficio, nonchè di qualsiasi comune incumbenza sociale. Ciò però non potrebbe assegnarsi a vizio speciale della vecchiezza, bensì alle infermità inseparabili dalla umana natura.
Poteva essere più sfinito di forze quel figlio di Publio Scipione Africano, del quale tu sei figlio adottivo? Poteva la di lui salute essere più vacillante o per meglio dire soffrire infermità più ostinate? Se le malattie non avessero reso tanto grave la sua debolezza, Roma avrebbe vantato una gloria di più, poichè al generoso animo del genitore accoppiava una erudizione di gran lunga più vasta.
Perchè dunque far sì gran caso delle infermità de’ vecchi, se i giovani medesimi talvolta non ponno evitarle?