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di marco tullio cicerone 261

clamato diecisette anni dopo il suo secondo consolato, essendone già passati dieci fra questo e il primo al quale fu eletto dopo essere stato Censore. Tutto ciò prova quanto ei fosse attempato all’epoca della guerra con Pirro: e tuttavia, come lo attestano i di lui contemporanei, parlò con meraviglioso vigore.

Nulla dunque provano coloro che affermano essere inetta agli affari la vecchiezza. Simili in questa loro opinione a chi giudichi ozioso il pilota, conciossiaché mentre i marinai salgono sugli alberi, alcuni corrono alle sarte lungo i bordi, ed altri vuotano lo scafo dell’acqua, solo sta seduto a poppa immobile, stringendo nella mano il timone. Egli non si affatica come i giovani certamente, ma presta opera assai più essenziale e migliore.

Alle grandi imprese non sono qualità necessarie il vigore, la flessibilità delle membra; ma bensì il senno, la dottrina e l’autorità del comando, doti che la vecchiezza non che scemare, rende complete.

Ed io medesimo che alla volta milite, tribuno, legato, console, sono versato nelle arti della guerra, forse vi sembro ozioso perché non mi vedete a capitanare un esercito? E che perciò, se nel Senato mi faccio a proporre ogni fazione militare, e il modo e il tempo d’operare? Io, con lo sguardo teso sulle puniche frodi, tengo già ordinato il piano della guerra, prima che essa venga bandita a Cartagine; né cesserò mai di dare l’allarme, finché quella città non veda distrutta. Piaccia agli Dei, o Scipione, che sia questa la gloria destinata a te avviato sulle orme dell’avo, il quale, passato da tredici anni, lasciò di sé memoria imperitura.