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di marco tullio cicerone 257

il primo suo consolato, e seco lui, allora console per la quarta volta, io giovinetto e semplice milite marciava alla volta di Capua, e poscia a Taranto. Quattro anni dopo venni Questore, la quale carica fu da me esercitata durante il consolato di Tuditano e Cetego nell’anno 549. A quell’epoca, Quinto Fabio già vecchio, propugnava la legge Cincia che vietava agli avvocati di accettar doni e ricompense. Giunto in avanzata età, con ardore virile condusse la guerra, e seppe stancare la focosa baldanza d’Annibale colle studiate lentezze.

Di lui egregiamente scrisse Ennio nostro:

Solo coll’indugiar salva fe’ Roma:
Spregiò i clamori e vincitore in campo
Gloria n’ebbe sicura e assai maggiore!

Quale non fu la destrezza ed alacrità di quel capitano nel ricuperare Taranto? In mia presenza, a Salinatore, il quale abbandonata la fortezza s’era ricoverato nella rocca, e seco lui millantavasi dicendo: "per opera mia, Quinto Fabio, ricuperasti Taranto!" - "Sì, rispose Massimo sorridendo, né l’avrei ripresa giammai, se tu prima non te l’avesti lasciata toglier di mano".

Né meno perito dimostrossi nelle civili che non fosse nelle belliche faccende: fu nel corso del suo secondo consolato, e resistendo alla neghittosa inerzia del collega Spurio Carvilio, che egli, come meglio seppe, fece opposizione a Cajo Flaminio tribuno della plebe, il quale, a scapito dell’autorità del Senato, favoreggiava la legge di scompartimento per capi al popolo delle picene e galliche terre: assunto alla dignità di augure, osava dire che i presagi