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di marco tullio cicerone 255


Catone. Di buon grado il farò, Lelio, qualora siccome lo dici, possa ciò essere ad entrambi.

Lelio. Ci proponiamo seriamente, o Catone, di conoscere da te quel sì lungo cammino che tu già calcasti, sul quale noi pure dobbiamo passare.




III. — Catone. Ed io mi accingo alla meglio che potrò. Fra coloro a me pari d’età (gli eguali con gli eguali, dice un antico proverbio, conversano facilmente insieme) spesse volte m’avvenne udire lamentanze, le quali da Cajo Salinatore e Spurio Albino, personaggi consolari miei coetanei, erano biasimate; che fossero, cioè, ormai costretti di astenersi dai piaceri, senza di cui sembrava loro insipida la vita: né essere tenuti in conto presso loro, da cui per lo passato venivano corteggiati.

Del che, mi sembra, che nel rovesciarne la colpa sulla vecchiezza, fossero costoro fuori di via. Conciossiaché, se una simile accusa fosse da lei meritata, io pure del pari avrei dovuto subirne gli effetti, e con me coloro tutti di età più provetta, non pochi dei quali vidi traversare la vecchiezza senza lagnarsi, né trovare molesto il languore degli ardenti desideri, né essi mai venire a noia ai loro amici.

Ma per chi attentamente osservi, il peccato non sta nell’età, bensì ne’ costumi. L’uomo di modi gentili e cortesi torna piacevole e gradito anche nella vecchiezza, mentre gli importuni ed esigenti sono molesti in qualsiasi stadio della vita.

Lelio. Parli ottimamente, o Catone. Ma per avventura non potrebbe taluno farti osservare che in mezzo alle dovizie, alla copia d’ogni cosa,