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“ Se la fitta in tuo cor doglia molesta,
“ O Tito mio, mitigar m’è dato,
“ Della buon’opra mi darai mercede?



I. — Concedi, Attico, di rivolgermi a te coi medesimi metri, che Ennio poeta, meno eminente per ricchezze che per animo sensibile alla schietta amicizia, rivolgeva a Tito Quinzio Flamminino, comunque io menomamente non ti creda la mente giorno e notte così agitata, siccome a quel personaggio. Sono a me troppo noti il senso e la mitezza tua, portando io ferma opinione che tu prendesti il soprannome da Atene non, che nel puro tuo accento greco, per l’amenità dei costumi e la giudiziosa fermezza.

Tuttavia suppongo te dagli stessi casi profondamente commosso, che me pure talvolta tengono turbato, a confortarci de’ quali da noi soli non bastiamo, ed unico sollievo possiamo aspettarlo dal tempo.

Perciò appunto ho deliberato d’inviarti i miei pensieri intorno alla vecchiezza. Essa, che ormai ne ha raggiunti e che non sta in poter no-