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più la potea molestare, difesa dal suo braccio: che quel castello era di lei, e che rimanea libera di fare come meglio le piacesse. Ma la fanciulla non vi fu trovata. Si sospettò che per disperazione si fosse gettata in mare: ma non fu trovata: finalmente si giudicò fosse discesa nella caverna del tesoro; e l’innamorato giovane trepidante, accompagnato dai suoi, tosto vi si fa condurre.
Una porticina mettea in una scala lunga ed oscura, che nessuno si arrischiò discendere senza fiaccola. Al fondo di essa trovarono una ferrea porta, chiusa al di dentro, che fu bisogno sfondarsi; quantunque col meno fracasso possibile, per non spaventare Zoraide, che vi si era rifugiata: pure i colpi venivano ripetuti dall’eco della caverna simili a fortissimi tuoni. Sidnar, impaziente, vi entra il primo: i suoi lo seguono rischiarandoli il cammino; e dopo vari raggiri scorge un lume. Animato dalla speranza, si avvia per quella direzione: a certo punto finisce il corridore e si allarga una non mai veduta caverna, tutta di stallattiti, e sparsa di tesori a mucchi, illuminata da una fiaccola caduta a terra. Sbalordito a quella vista, si ferma, e a pochi passi trova l’amata Zoraide già morta, e colla spada di cui s’era ferita ancora confitta nel cuore.