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da Zoraide, che volea rivederlo, venne prima in Sicilia.
Recava egli nuovi tesori: l’argento e l’oro era la meno preziosa cosa: brillanti, smeraldi, agate, perle di rara grossezza a monti, tanto che le sentine delle navi erano piene. Giunto a Cala Farina, non bastando casse a conservare questo tesoro, insieme coll’altro che Zoraide avea, lo fè trasportare nell’immensa caverna che sottostava a quel castello. Quivi fattolo chiudere, ne consegnò la chiave alla figlia; e dopo averle parlato delle intenzioni dell’imperatrice, e della di lui risoluzione ad accettare, l’avvertì, che dove la cosa non avesse il buon esito ch’egli sperava, e le giungesse notizia della sua morte, non desse quel tesoro in mano d’alcuno; ma quando vi fosse costretta dalla forza, lo incanterebbe invece, dicendogliene egli stesso il modo. E dimorato alquanti giorni ancora, abbracciò l’infelice Zoraide; e datole con tenerissimo pianto l’ultimo addio, si rimise alla vela e partì.
Grecia tutta al suo passaggio esultò di gioja, salutandolo nuovo imperatore; in Costantinopoli non vi dico! La città era tutta in festa: dalle finestre pendevano, sventolando, superbi drappi di Persia e di Damasco; da per-