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Ne cade un foglio ripiegato, tutto, tutto coperto di caratteri giallognoli, sbiaditissimi. Ella lo apre e vi legge:


«2 maggio 1802.»


«per ricordarmi»


«Ch’io mi ricordi, nel nome di Dio! Altrimenti perchè rinascere? Ho pregato la Vergine e Santa Cecilia di rivelarmi il nome che mi sarà imposto allora. Non vollero. Ebbene, qualunque sia il tuo nome, tu che hai ritrovato e leggi queste parole, conosci in te l’anima mia infelice. Avanti di nascere hai sofferto tanto tanto (questa parola era ripetuta dieci volte in caratteri assai grandi) col nome di Cecilia.

«Ricordati! Maria Cecilia Varrega di Camogli, infelice moglie del conte Emanuele d’Ormengo.

«Ricordati la sera del 10 gennaio 1797 a Genova in casa Brignole: ricordati il viso bianco, il neo sulla guancia destra della santa zia, suor Pellegrina Concetta.

«Ricordati il nome Renato, l’uniforme rosso e azzurro, gli spallini e i ricami d’oro al collo e la rosa bianca del ballo Doria.

«Ricordati il carrozzone nero, la neve e la donna di Busalla che mi ha promesso di pregare per me.

«Ricordati la visione avuta in questa camera, due ore dopo mezzanotte, le parole di fuoco sfolgoranti sulla parete, parole di una lingua ignota e tuttavia chiarissime in quel punto alla mia intelligenza che vi intese il conforto e la promessa divina. Mi è impossibile trascrivere quei segni, non ne ricordo che il senso. Dicevano che rinascerei, che vivrei ancora qui, amerei Renato e sarei riamata da lui; dicevano un’altra cosa buia, incomprensibile, indecifrabile; forse il nome che egli porterà allora.

«Vorrei scrivere la mia vita intera, non ne ho la forza; bastino quei cenni.