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cizia, assaporava la musica e ammirava la scena come ghiottornie rare, gratissime per una volta a palati fini e curiosi come il suo; così avrebbe gustato un quadrettino fiammingo, un’aria di Cimarosa.
Poi, quando i suoni e i canti si andarono dileguando da lontano e Saetta mosse lentamente, quasi a malincuore, verso il Palazzo, le impressioni di quella sera si addentravano poco a poco nell’anima sua rammollita dal voluttuoso languore che l’aprile ispira: e vi si mesceva una gran sensazione di sgomento, simile a certe doglie che ci saettano e passano e passano e poi ce ne scordiamo; e si trova in seguito ch’erano frettolose messaggiere di un grosso male in cammino. L’orologio di R... suonò le nove. Non le parve la solita campana. Come poteva avere un’altra voce? Stette in ascolto. Le balenò alla mente d’essersi trovata un’altra volta sul lago, esattamente nello stesso luogo e alla stess’ora, d’aver ascoltata la campana e fatto lo stesso pensiero che il suono era diverso del consueto. Ma quando?
Le era accaduto parecchie altre volte, specialmente nell’adolescenza, di venir sorpresa da simili riproduzioni di circostanze e di pensieri, senza poter ricordare l’epoca del loro primo passaggio. Ne aveva parlato. Suo padre s’era stretto nelle spalle: che si ha a fare attenzione a simili sciocchezze? Miss Sarah aveva detto: «E dunque?» Le amiche l’avevano assicurata che a loro succedeva la stessa cosa ogni giorno. Marina non ne parlò più, ma ci pensò ancora.
Questi lampi di reminiscenza solevano riferirsi a circostanze tra le più indifferenti della vita. Le rimaneva perciò sempre dubbio se si trattasse di reminiscenze vere e proprie o di allucinazioni. Stavolta non era così. Pensando e ripensando, si persuase di non essersi trovata mai sul lago a quell’ora; era dunque un’allucinazione.
Quando scese al Palazzo, il conte si era già ritirato. Ella passeggiò un tratto su e giù per la loggia, entrò