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l’acqua chiara la piccola Saetta! Il Rico era in lena; la sottile prora nera pareva volare tra cielo e cielo e la poppa correva tra i grandi ovali segnati dai remi. Ad ogni tratto il rematore si fermava a guardare verso la riva di R... Le barche non venivano, ma si udivano dall’alto ondate di musica or più or meno sonore. Certo la banda s’era fermata in piazza a far ballare le ragazze e i giovanotti. Il Rico propone di andar verso riva, ma donna Marina gli ordina di fermarsi al largo e di aspettare. Egli comincia un’enfatica apologia della banda forestiera, del famoso suonatore che ha imparato a Como, di quell’altro prodigio che ha imparato a Lecco, dei loro strumenti; donna Marina gli ordina di tacere. Tacere lui? — Non suonano più, ecco, vengono, son qua; no, non vengono ancora, adesso s’imbarcano; oh, dei lumi! Son lanterne! Son palloni! Ora sì che vengono proprio! Suonano, suonano!

— Rema — disse Marina — verso la musica.

Vengono prima a paro due barche illuminate, piene zeppe di suonatori ritti in piedi che soffiano a più potere nei flauti, nei clarinetti, nelle trombe, tenuti in riga a cannonate di gran cassa: poi vengono altre barche oscure col pubblico. Dopo ogni pezzo scoppia da quest’ultime barche un subisso di grida, di applausi, di apostrofi ai rematori, ai timonieri, all’uno, all’altro, di strilli modulati, acutissimi. La flottiglia si avanza lenta per la quiete del lago tutto bruno, passa davanti a Marina.

Suonano un pout-pourri di canzoni popolari lombarde e a tutta quella buona gente ci si rimescola il sangue di tenerezza e d’orgoglio. Sono i loro amori, le loro allegrezze, è il loro fiore d’un giorno; è il canto uscito dalle loro viscere che si spande glorioso e potente fra le care montagne. I suonatori vi mettono uno slancio, un fuoco insolito, i remi rompono l’acqua tuonando, le vecchie barche saltano avanti, tutti cantano colla musica:

L’è sett’anni che son maridada
Perchè s’era la bella biondin.