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Il conte gliele strinse affettuosamente, le tenne qualche momento fra le sue.
— Dunque? — diss’egli.
— Oh! — rispose Silla alzando la testa.
Era detto tutto.
— Bene — rispose il conte — adesso uscite, uscite subito, andate a pigliar aria. Vi faccio accompagnare dal mio segretario.
Suonò e fece venire Steinegge che si mise, tutto sorridente, agli ordini del signor Silla. Egli si professava lieto dell’onorevolissimo incarico. Non sapeva se gli abiti che si trovava indosso fossero degni dello stesso onore. Sì? Ringraziava. Se n’andò finalmente con Silla, strisciando inchini e facendo infinite cerimonie ad ogni uscio, come se al di là della soglia vi fosse stata una torpedine. Appena uscito dal cancello del cortile, mutò modi e parole. Prese a braccetto il compagno: — Andiamo a R... — disse — bisogna bere un poco, caro signor.
— No — rispose Silla, distratto, non sapendo ancora bene in che mondo si fosse.
— Oh, non dite no, io vedo. Voi siete serio, molto serio; io poi sono serissimo.
Steinegge si fermò, accese un sigaro, sbuffò una gran boccata di fumo, battè con il palmo della destra la spalla del suo interlocutore e disse ex abrupto:
— Oggi sono dodici anni, mia moglie è morta.
Fece un passo avanti, poi voltossi a guardar Silla, con le braccia incrociate sul petto, le labbra strette, le sopracciglia aggrottate.
— Andiamo, voglio raccontarvi questo.
E, ripreso il braccio di Silla, tirò avanti a passi sgangherati, fermandosi di tratto in tratto su’ due piedi.
— Io, per il mio paese, mi sono battuto nel 1848, voi sapete. Io lasciai il servizio austriaco e mi battei nel Nassau per la libertà. Bene, quando si calò il sipario fui gittato per grazia alla frontiera con mia moglie e
Malombra. | 4 |