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all’ombrello e di portarmi anche il portasigari che ho dimenticato in salotto?
— Vengo subito, papà.
Ella entrò nel salotto e fece a don Innocenzo un saluto silenzioso con la mano. Quegli raccolse il portasigari lasciato da Steinegge sopra una sedia e lo porse a lei che, conoscendone l’origine, lo prese senza guardarlo.
Il curato, rimasto solo, pensò:
— Cos’avrà scritto?
Spense la lucerna, aspettò che Steinegge chiudesse la finestra e che tacessero i passi sul soffitto del salotto; quindi tolse il suo lumicino, andò fuori e si curvò, inchinandolo sulla ghiaia, a guardare.
Certo era stata tracciata una parola nella ghiaia, ma non si poteva decifrarla perchè la prima metà n’era cancellata. Ne rimanevano intatte le quattro ultime lettere, rigide lettere straniere che il curato, dopo molto studio, lesse così:
Il resto era illeggibile.
— Weh deve significare male in tedesco — disse tra sè don Innocenzo. — Ma l’m?
Finì di cancellare la parola e rientrò, pensoso, in salotto.
Intanto nell’ombre sinistre del Palazzo, l’angelo del Guercino pregava senza posa per l’uomo gettato d’un colpo, a tradimento, nell’eternità. La sua vita era stata breve, povera di opere, macchiata di molte segrete miserie e, sulla fine, di errori già misurati dal duro giudizio umano. Tuttavia, egli aveva sostenute virilmente le battaglie dello spirito, cadendo a ogni tratto, ma rialzandosi, ferito, per combattere ancora; aveva amato sino alla febbre e alle lagrime, divini fantasmi che non ha la terra, ideali di una vita sublime che intravvedeva, tribolato e solo, nel futuro; era passato più volte con amaro cuore ma con fermo viso tra la noncuranza degli uomini e il silenzio di Dio, sentendosi sulla testa l’ombra