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— Ma tu ne hai bisogno — diss’ella.

Lo abbracciò, gli susurrò all’orecchio un saluto commosso. Egli balbettò poche parole incomprensibili, prese il lume e salì le scale come se andasse, colla sciabola in pugno, al nemico.

Marta recò un altro lume pel suo padrone; ma don Innocenzo, a un cenno di Edith, congedò la domestica, le disse di andare pure a letto.

Appena si dileguò su per le scale il rumore de’ passi di costei, Edith giunse le mani e guardò il curato.

— Dio L’ha esaudita — diss’egli. — Ha accettato il Suo sacrificio.

Ella lo guardava sempre, a mani giunte, e non parlava; ma le si vedevano lagrime negli occhi. Don Innocenzo, guadagnato, oppresso da quel dolore intenso, tacque.

Edith piegò la fronte sul braccio del canapè e disse piano con voce soffocata:

— Non poterlo difendere!

Riprese dopo un momento di silenzio:

— Anche mio padre! Tanto ingiusto!

— Ma no, ingiusto — si provò a dire don Innocenzo.

Ella alzò una mano senza rispondere, mordendosi le labbra e, vinto il singhiozzo che l’assaliva, disse:

— Venga qua.

Il curato, stretto egli pure alla gola dall’emozione, sedette sul canapè, vicino a lei.

— Vengo — diss’egli — ma non parliamo di questo, parliamo dell’altra buona notizia che Suo padre Le ha dato e che ha dato anche a me. Tutto il resto è stato un cattivo sogno di cui non abbiamo colpa; dimentichiamolo.

— No — rispose Edith con passione — non me l’ha detto Lei ieri sera che dovevo portarlo nel cuore? E adesso che tutti lo accusano, lo insultano, ed egli non può dire una sola parola di difesa, avendone tante, io, don Innocenzo, lo dimenticherò, lo abbandonerò anche