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giardiniere si affacciò alla porta. Ella le accennò violentemente, con il braccio libero, di farsi da banda, e disse al medico parlando più con un gesto che con la voce:
— Sì, andiamo via, andiamo nel salotto.
— E nella Sua camera non sarebbe meglio?
— No, no, nel salotto. Ma mi lasci!
Ella disse quest’ultime parole in atto così dignitoso e fiero che il dottore obbedì, si accontentò di seguirla. A lui premeva sopra tutto, in quel momento, allontanarla dalla balaustrata.
Marina s’incamminò lentamente, tenendo la mano destra nella tasca dell’abito. Il Vezza e il cameriere la guardarono passare, allibiti. Il dottore che la seguiva, si fermò un momento per dar un ordine all’infermiera. Intanto Marina arrivò alla porta.
Fanny, il cuoco e il giardiniere s’erano tirati da banda per lasciarla passare senza esserne visti. In sala le imposte erano chiuse a mezzo e le tende calate.
Silla stava sulla soglia del salotto. Vide Marina venire ed ebbe un momento d’incertezza. Non sapeva se farsi avanti o da parte o ritirarsi nel salotto. Ella fece due passi rapidi verso di lui, disse «oh buon viaggio» e alzò la mano destra. Un colpo di pistola brillò e tuonò. Silla cadde, Fanny scappò urlando, il dottore saltò in sala, gridò agli uomini «tenerla!» e si precipitò sul caduto. Il Vezza, il cameriere, l’altra donna corsero dentro gridando a veder che fosse. Il giardiniere e il cuoco vociferavano, si eccitavano l’un l’altro a trattener Marina, che, voltasi indietro, passò in mezzo a tutti, con la pistola fumante in pugno, senza che alcuno osasse toccarle un dito, attraversò la loggia, ne uscì per la porta opposta, la chiuse a chiave dietro di sè. Tutto questo accadde in meno di due minuti.
Il giardiniere e il cameriere, vergognandosi di sè, irruppero sulla porta, la sfondarono a colpi di spalla. Il corridoio era vuoto. Si fermarono incerti, aspettando un colpo, una palla nel petto, forse.