Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 476 — |
Il dottore non bevve. Sentiva venire una tempesta. Il Vezza si accostò invece al consiglio di donna Marina e vuotò il suo bicchiere.
— Bravo! — diss’ella facendosi pallida. — Si ispiri per una risposta difficile.
— Di Proserpina in Sfinge, marchesina?
— In Sfinge, sì, e vicina a diventar di pietra o più fredda ancora! Ma che prima parlerà, dirà tutto. Dunque...
Ell’era andata diventando sempre più pallida. A questo punto un tremito di tutta la persona le spezzò la voce. I due uomini si alzarono in piedi. Ella strinse il coltello, ne ficcò rabbiosamente la punta nel tavolo.
— Quieta, quieta — disse il medico pigliandole una mano gelata, piegandosi sopra di lei. Ella si era già vinta, respinse la mano del medico e si alzò.
— Aria! — diss’ella.
Passò con impeto fra il tavolo suo e quello del dottore, e si slanciò alla balaustrata verso il lago.
Il dottore le fu addosso d’un salto per afferrarla, trattenerla.
Ma ella si era già voltata e piantava in viso al Vezza due occhi scintillanti.
— Dunque — esclamò affrettandosi di parlare, di far dimenticare un momento di debolezza — crede Lei che un’anima umana possa vivere sulla terra più di una volta?
E perchè il Vezza, smarrito, sgomento, taceva, gli gridò:
— Risponda!
— Ma no, ma no! — diss’egli.
— Sì, invece! Lo può!
Nessuno fiatò. Il giardiniere, il cuoco, Fanny, avvertiti dal cameriere, salirono frettolosi le scale per venire ad origliare, a spiare. Il vento era caduto; le onde lente sussurravano a piè dei muri: — Udite! udite!