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sotto un lenzuolo a pochi passi dalla loggia; gli corse un brivido nelle ossa.
— Pure — replicò Marina — i miei ospiti sono lugubri come giudici infernali. Versatemi del Bordeaux — diss’ella al vecchio cameriere che serviva solo, più lugubre ancora dei convitati. — Anche a questi signori.
Il cameriere obbedì. Devoto al povero conte da lui servito per ventidue anni, gli pareva d’essere alla tortura. Versava con mano tremante, facendo tintinnare il collo della bottiglia sull’orlo dei calici.
— Vi prego di assaggiar questo vino — disse Marina.
— Pensatelo, adesso. Non vi trovate un lontano sapore d’Acheronte?
Il commendatore alzò il calice, lo sperò, vi posò ancora le labbra e disse:
— Ha qualche cosa d’insolito.
— Supponga dunque, commendatore Radamanto — disse Marina con voce commossa, contraendo nervosamente gli angoli della bocca — che per certe mie ragioni io abbia pensato...
Si lasciò cadere sulla spalliera della poltrona, porgendo le labbra, facendo con la mano l’atto di chi butta via sdegnosamente una cosa spregevole.
— Sa — diss’ella — questa vita è così vile! Supponga dunque ch’io abbia pensato di aprir la porta e uscire quando muore il sole, in mezzo ai fiori, portando meco alcuni amici di spirito pel caso che il viaggio fosse troppo lungo. Supponga che in quel Bordeaux...
Il Vezza trasalì, guardò il cameriere ritto presso la porta di sinistra, impassibile.
— Oh! — esclamò Marina — come mi crede subito!
Si fe’ versare dell’altro vino e si recò il calice alla bocca.
— Sapore insolito? — diss’ella. — Se è puro, questo Bordeaux, come un’Ave Maria! È stato uno scherzo di Proserpina. — Bevete — proseguì concitata — cavalieri dalla triste figura. Provvedetevi di cuore e di spirito