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su dal giardino, con due barelle, moltissimi vasi di camelie, d’azalee, di cinerarie e di calceolarie in fiore e quattro grandi dracene australis. Si portarono pure due gradinate rustiche di legno e si addossarono ai fianchi della loggia tra le due porte e la balaustrata posteriore. Fanny e il cameriere portarono tre piccoli tavoli, quattro poltrone cremisine e una elegantissima giardiniera di metallo dorato, dono giunto a Marina due settimane prima dalla signora Giulia De Bella. Poi donna Marina stessa, stretta nel suo scialletto bianco che le disegnava le forme, entrò lentamente, negligentemente in loggia, si fermò davanti all’arcata di mezzo e cominciò a dare degli ordini senza muovere un dito, indicando i luoghi e le cose col girar della persona e del viso.
L’ombra della costa boscosa a ponente del Palazzo avanzava rapida verso levante. Il vento si rabboniva, le onde si azzittivano come se avessero visto Marina entrar in scena.
Ella vi si trattenne fino a che fu bene avviata l’esecuzione de’ suoi ordini, poi si ritirò accennando al Rico di seguirla.
Una scena sontuosa, elegante apparve, a opera finita, dentro dalle colonne austere, dal cornicione accigliato della loggia. Agli angoli le dracene sprizzavan su come getti verdi dall’enormi azalee in fiore aggruppate a’ lor piedi, spandevano in alto una piova di sottili foglie ondulate, ricadevano graziosamente. A destra e a sinistra le due gradinate gremite di cinerarie e di calceolarie versavano dall’alto due cascate di mille colori sul tappeto cupo. Sei grandi vasi di camelie, ritti sulla balaustrata posteriore, chiudevano il fondo della scena. Il meno piccino dei tavoli, con due posate, stava quasi addossato all’arco di mezzo; gli altri, a una posata per ciascuno, posti per isghembo a’ lati del primo, si fronteggiavano. Tovaglie grigio giallognole di Fiandra li coprivano tutti e tre sino a terra, mettevano in quella nervosa musica di colori tre note quiete e gravi su cui si smorzavano