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Quelli là erano il giardiniere e Fanny affaccendati a cogliere fiori nelle aiuole di fronte all’arancera, che di lì s’intravvedevano con una striscia di lago fra l’ala sinistra del palazzo e la muraglia verde semicircolare del cortile.

Il Vezza accennò con la mano a Fanny, che attraversò correndo il cortile e venne sotto la ringhiera del giardinetto.

— Cosa fate? — diss’egli.

— È la mia signora — rispose Fanny in aria di mistero inarcando le sopracciglia e porgendo le labbra.

— Perchè? Per il funerale?

— Off! Sì che gliene importa del funerale! Per il pranzo! Come, non lo sa? Non gliel’ha detto il signor Paolo, che la ci ha ordinato un fior di pranzo, che anzi lui ha detto in cucina che non avrebbe fatto niente senza un ordine suo, di Lei?

— Signora Fanny! — chiamò il giardiniere.

— Vengo! — E lo sa dove c’è l’ordine di preparare il pranzo? In loggia. Dico io, con questo vento! E io devo star qui a cogliere fiori, che patisco tanto il vento, io!

— Signora Fanny! — gridò ancora il giardiniere.

— Vengo! — Una bella roba anche questa, neh! Io già a momenti pianto tutto. Non voglio mica diventar come lei, con quest’ariaccia e questo demonio di sole sulla testa.

— Signora Fanny! — chiamò il giardiniere per la terza volta. — Viene o non viene?

— Vengo, vengo! — L’è perchè se non faccio io, quell’altro là non sa far nulla con garbo. — Me lo diceva anche il signor don Cecchino Pedrati che Lei già lo avrà inteso nominare, perchè è una casa grande quella!

— Sì sì, vada pure — disse il Vezza.

Fanny andò via gridando al giardiniere se non vedeva che i signori le parlavano.

Il commendatore si voltò a Silla.

— Voglio andar a sentire di questo pranzo — disse