Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 451 — |
sulla riva sotto quei grandi pioppi, contiene sole, ha un sapore di primavera ilare che inebbria meglio del Johannisberg.
— Si voltino — disse don Innocenzo— guardino la mia casetta come sta bene.
Stava bene infatti la piccola casetta, al di sopra delle altre e in disparte, bianca sotto il suo tetto inclinato.
— Pare che ci guardi anche lei — osservò Edith — e ci sorrida come una buona nonnina che non si può muovere.
— Oh — esclamò Steinegge — io sarei felice di viver qui.
— E io, papa? Pare di sentirsi voler bene da tutto, qui. A Lei, signor curato, ci trovi un nido.
— C’è il mio — diss’egli. — Bravi, vengano a stare col vecchio prete. Perchè no? Non sarebbe una bella cosa? Non starebbero bene in casa mia? Mi par che Marta s’ingegni abbastanza, non è vero?
Edith sorrideva, suo padre si confondeva in esclamazioni e proteste di gratitudine.
— No, no — disse Edith. — Prima, è una cosa impossibile per noi lasciar Milano, e poi così non andrebbe. Ci vorrebbe un’altra casettina.
— Veramente? Lei starebbe qui, per sempre, in questa solitudine?
Edith rispose con gli occhi gravi, meravigliati. Don Innocenzo ammutolì.
— Non sarebbe il solo tesoro sepolto in questo paese — disse Steinegge volgendosi al curato con un gesto ossequioso.
Don Innocenzo si schermì, arrossendo e ridendo, dell’incensata.
— Anche Lei ci sarebbe, non è vero? — diss’egli.
— Oh no, io sarei qui un tegame preistorico. Io vi starei molto bene, ma mia figlia non deve, oh no!
— Perchè mai, papà?
Egli rispose impetuosamente in tedesco, come faceva