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Don Innocenzo non trovava la prima parola, stringeva convulsamente una mano con l’altra, suggeva l’aria, secondo il suo solito, per le labbra serrate.
— Si sarebbe mai accorto — cominciò finalmente — di qualche preoccupazione, di qualche angustia nell’animo di Sua figlia?
Steinegge trasalì.
— Denaro?— diss’egli.
— No, no.
Uno sgomento angoscioso contrasse il viso del povero uomo mentre diceva:
— Salute?
— No, no. Senta. Potrebbe darsi che Sua figlia volesse pensare a Lei solo, occuparsi di Lei solo, vivere insomma per lei solo, fino a che Ella, amico mio, ottimo e carissimo amico mio...
Don Innocenzo gli prese, parlando, una mano.
— ...intendesse quale sia quest’angustia segreta che c’è, lo so, nel cuore della signora Edith, povera signorina.
— Lo sa! — disse Steinegge, pallido, stringendo forte la mano del prete, guardandolo a bocca aperta.
— Metta che io non sia prete — continuò il curato.— Adesso non sono prete, sono un amico. Va bene? Mi ascolterà come un buon amico?
Steinegge accennò di sì con la testa, impetuosamente, senza poter parlare.
— Bene, via, bravo. Dica, Ella ha sofferto molto, non è vero, nella vita? È stato perseguitato, calunniato, non è vero? e specialmente da persone che portano quest’abito? Sì, lo dica pure francamente. Crede che non ne conosca, io, de’ preti furfanti? Dunque Lei ne ha concepito un grande aborrimento contro tutti... No, glielo credo, contro di me no; ma è un’eccezione. Ha concepito poi anche un gran dispregio per altra cosa infinitamente superiore a questi preti miserabili, per la Parola di cui dovrebbero essere custodi e ministri. Mi lasci dire, Lei parlerà dopo. Credo benissimo che dopo