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dell’anno passato. Ha Lei una vera affezione per donna Marina?

— Perdoni, non si tratta de’ sentimenti miei, adesso.

— Basta, basta. Dunque le dico che Lei è persuaso di partire?

— No, le dica solo che mi faccia saper l’ora in cui dovrò recarmi da lei.

— Sì. Per dirle la verità, il mio interesse personale sarebbe ch’Ella restasse qui ancora qualche ora. La pregherei di aiutarmi. Ho tante cose da fare. C’è da chiedere al pretore l’apposizione dei sigilli. Capirà, qui c’è tanta gente! C’è da scrivere alla Direzione dell’Ospitale di Novara. Ho già spedito un telegramma, ma non basta. Anche sul funerale avremo a discorrere. La cappella di famiglia è a Oleggio. Il conte dev’essere trasportato là? Dev’essere sepolto qui? Mi han promesso che prima delle due arriveranno gli annunzi stampati da diramare: un bel lavoro anche quello! Era più o meno cugino di mezzo Piemonte, il povero Cesare, e di mezza Toscana, anche. Insomma, quanto a me, se Lei restasse fino a stasera, ne avrei certo piacere.

Un forte soffio di vento entrò dalla finestra aperta, gonfiò le cortine.

— Oh, il vento cambia, meno male — disse il commendatore. — Anche questo tempaccio è una cosa orribile.

Silla non rispose, salutò in silenzio e tornò nella propria camera, meditabondo.

Cos’era adesso quest’altro enigma? Cos’era quest’altra commedia del destino? Egli ripensava certi esempi di maniaci risanati da un momento all’altro, nello svegliarsi. E forse il delirio di donna Marina non era stato che un eccesso passeggero, una esaltazione nervosa prodotta da circostanze veramente strane.

Se il Vezza s’ingannasse? Se fosse veramente guarita? Essa lo sdegnava adesso, lo respingeva: la catena dura sarebbe spezzata senza dubbio.

Restavano i rimorsi, la vergogna d’esser tornato al