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costretto di ricordarle queste cose e forse anche di dirne altre che potranno spiacerle.

— Parli, parli — disse Silla.

— Bene. Mi domanda dunque dei Salvador: perchè sono partiti? Io la guardo. Eh, dico, per questo e per questo. Perchè dopo gli avvenimenti di stanotte hanno creduto di non avere più niente da fare, qui. Allora ella mostra di turbarsi un poco, mi dice che comprende e scusa questo procedere, che pur troppo ha tutte le apparenze contro di sè, ma che non è colpevole affatto. E qui, poveretta, mi fa un racconto dal quale mi son ben persuaso che c’è ancora follìa e follìa più pericolosa, forse, del delirio violento. Per otto giorni, dice, non sono stata responsabile delle mie azioni. Ho avuto da una persona morta comunicazioni che mi hanno scombuiato il cervello. Queste comunicazioni, dice, il signor Silla le conosce.

— È vero — disse Silla.

— Euh! — esclamò il commendatore stupefatto. Non si aspettava questa conferma; gli sconvolgeva le idee, gli suggeriva il sospetto che neppur quell’uomo pallido dai capelli arruffati, dalle vesti scomposte, avesse il cervello interamente sano.

— È vero — ripetè Silla

— Spiritismo? — chiese il commendatore.

— No. Ma, La prego, continui.

Il Vezza aveva perduto la bussola e il filo del discorso; ci volle del buono perchè potesse raccapezzarsi.

— Dunque — diss’egli — ella sostiene, continuando, di aver vissuto otto giorni in una specie di sonnambulismo, durante il quale ha fatto cose inesplicabili di cui ora è dolentissima. Protesta della sua indifferenza, anzi della sua ripugnanza per Lei, comunque si sia comportata durante questo periodo di allucinazione. Soggiunge che spera di persuadere di tutto questo il conte Salvador, e mi prega, in due parole, di aiutarla. Cosa vuole, che le rispondessi? Che per parte mia credevo tutto, ma che non vedevo probabile di far credere