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Silla non si poteva staccare dai quadri.

— Starei qui un giorno — diss’egli.

— Anche voi?

Anche! L’altro chi era? Era forse la giovane signora di cui gli aveva parlato il vetturale? Il seggiolone fuor di posto, il libro, il profumo di mown-hay erano indizi del suo recente passaggio? Quella porta chiusa in fretta, quel lampo negli occhi del conte?... Silla non aveva ancor visto al palazzo che il conte, Steinegge e i domestici. Nessuno gli aveva nemmanco parlato d’altre persone.

Alcune ore più tardi, dopo aver girato per lungo e per largo il palazzo e il giardino senza trovar nessuno ed essersi ritirato per qualche tempo nella sua stanza, notò, entrando nella sala da pranzo, con il conte e Steinegge, che quattro posate erano state disposte ai quattro punti cardinali della tavola. I commensali nord, sud e ovest presero il loro posto; ma l’ignoto commensale dell’oriente non compariva. Il conte uscì, tornò dopo dieci minuti e fece portar via la posata.

— Credevo che avrei potuto presentarvi mia nipote — diss’egli a Silla — ma pare ch’ella non si senta bene.

Silla disse una parola di rammarico; Steinegge, rigido più che mai, seguitò a mangiare, tenendo gli occhi sul piatto; il conte pareva molto rannuvolato, e persino il cameriere che serviva aveva una fisionomia misteriosa. Per quasi tutto il pranzo non si udì nella sala scura e fresca che il passo ossequioso del cameriere, il tintinnìo delle posate e dei bicchieri che si allargava tra gli echi della volta. Per le finestre socchiuse entrava un ampio strepito di cicale, si vedevano brillar nel sole le frondi del vigneto, cangiar colore l’erbe piegate via via dal vento. Là fuori si doveva stare più allegri.