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tata, non rispose. Stava sulla porta col lume in mano, scarmigliata, nudo il collo, guardando Marina con occhi stralunati, torbidi ancora di sonno.

— Vieni! — disse Marina a Silla, e si slanciò, tenendolo per mano, nel corridoio oscuro.

— C’è giù anche il prete — disse Fanny ripigliando fiato.

Silla aveva voluto al primo momento resistere, gittar da sè la mano nervosa che lo stringeva, ma una voce gli aveva gridato dentro: — vile! adesso l’abbandoni? — Seguì Marina. Fanny veniva lor dietro tenendo alto il lume, stupefatta, ricacciandosi in gola una fila di esclamazioni.

Il lume stesso pareva agitarsi pieno di angoscia come se giungesse incontro ad esso, per il corridoio nero, il soffio grave e solenne della morte.

Veniva su per la scala il chiarore d’un altro lume. Qualcuno chiamò dal basso:

— Signora Fanny, signora Fanny!

Era il cameriere che saliva affannato col lume in mano. Domandò a Fanny, senza badare agli altri due, se avesse un crocifisso.

— No, no, nella camera della signora Giovanna, nella camera della signora Giovanna! — gli gridò dietro, dal fondo, la voce di Catte. Fanny si mise a singhiozzare, e il cameriere, fatto un gesto di fastidio, ridiscese, scambiò parole veementi con Catte. Una porta lontana s’aperse, qualcuno zittì sdegnosamente. Subito dopo la voce tranquilla del medico disse forte:

— Ghiaccio!

Voci sommesse, frettolose, ripetevano:

— Ghiaccio, ghiaccio!

Marina non correva più, scendeva adagio adagio, trepida suo malgrado. Le ombre del Palazzo erano piene di terrore augusto; quelle voci spaventate, quei lumi di cui si vedevan qua e là fugaci riverberi lo accrescevano. Prima ch’ella mettesse piede sul corridoio del