Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 395 — |
manifestati indirettamente dal settembre, parlando di un’amica sua sposatasi per odio e per disprezzo, per giungere all’amante attraverso il marito.
— Mi parli con piena sincerità — diss’egli ex abrupto; — è convinta o no che vi sia un accordo tra il signor Silla e donna Marina? Non abbia riguardi; non si tratta qui di maldicenze nè di quei giudizi che il Vangelo riprova. Il mio ministero potrebbe forse venir esercitato per il bene e io debbo sapere, per quanto è possibile, la verità. Ella che conosce le persone e i fatti, mi dica schietto, che convinzione ha?
— Due giorni fa non c’era di sicuro — rispose Edith — ma oggi temo di sì.
— Come? Che ci sia accordo?
— Temo che succeda: ho questo presentimento.
— Teme che succeda — disse don Innocenzo parlando a sè stesso, e, fattosi puntello d’un gomito alla scrivania, con il palmo della mano sulla fronte e le dita inquiete sul cranio, riflettè. Dopo qualche tempo aperse il cassetto della scrivania e ne tolse della carta.
— Ella non ha risposto — diss’egli — alle parole che il signor Silla scrisse in quel volume per Lei?
— No, signore.
— Come? — chiese don Innocenzo.
Ella presentiva forse la proposta del curato, parlava così piano!
— No, non ho risposto.
Il prete si alzò in piedi.
— Bene, risponda — diss’egli.
Anche Edith, involontariamente, si alzò; vide, senz’altre parole, il concetto di don Innocenzo.
— Subito — disse questi, accostando il calamaio alla carta che aveva posta sulla scrivania.
Edith giunse le mani.
— Crede, signor curato, che questo possa essere un dovere per me? Subito?