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manifestati indirettamente dal settembre, parlando di un’amica sua sposatasi per odio e per disprezzo, per giungere all’amante attraverso il marito.

— Mi parli con piena sincerità — diss’egli ex abrupto; — è convinta o no che vi sia un accordo tra il signor Silla e donna Marina? Non abbia riguardi; non si tratta qui di maldicenze nè di quei giudizi che il Vangelo riprova. Il mio ministero potrebbe forse venir esercitato per il bene e io debbo sapere, per quanto è possibile, la verità. Ella che conosce le persone e i fatti, mi dica schietto, che convinzione ha?

— Due giorni fa non c’era di sicuro — rispose Edith — ma oggi temo di sì.

— Come? Che ci sia accordo?

— Temo che succeda: ho questo presentimento.

— Teme che succeda — disse don Innocenzo parlando a sè stesso, e, fattosi puntello d’un gomito alla scrivania, con il palmo della mano sulla fronte e le dita inquiete sul cranio, riflettè. Dopo qualche tempo aperse il cassetto della scrivania e ne tolse della carta.

— Ella non ha risposto — diss’egli — alle parole che il signor Silla scrisse in quel volume per Lei?

— No, signore.

— Come? — chiese don Innocenzo.

Ella presentiva forse la proposta del curato, parlava così piano!

— No, non ho risposto.

Il prete si alzò in piedi.

— Bene, risponda — diss’egli.

Anche Edith, involontariamente, si alzò; vide, senz’altre parole, il concetto di don Innocenzo.

— Subito — disse questi, accostando il calamaio alla carta che aveva posta sulla scrivania.

Edith giunse le mani.

— Crede, signor curato, che questo possa essere un dovere per me? Subito?