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Si avvicinarono pian piano verso il villaggio, a braccetto. Edith parlò della cara Germania e del passato. Avea sempre da raccontar qualche cosa di nuovo sulla sua adolescenza, qualche cosa che le tornava alla memoria a caso, specialmente nelle ombre della sera. Suo padre se ne commoveva, s’inteneriva, non tanto per le piccole vicende narrategli, quanto per l’idea che adesso gli anni tristi eran passati, ch'ella era lì al suo fianco.

Nel villaggio trovarono don Innocenzo che usciva da una povera casupola. Udirono una donna, che lo avea accompagnato col lume sulla via, dirgli angosciosamente:

— E così, signor curato?

— Fatevi coraggio, Maria — rispondeva don Innocenzo — donatela al Signore.

La donna appoggiò il capo al muro e pianse.

— Andate, Maria, tornate su — disse don Innocenzo dolcemente.

La donna piangeva sempre e non si moveva.

— Si conforti — disse Edith. — Pregheremo per lei.

Quella si voltò al suono della voce sconosciuta e rispose come se avesse dimestichezza con Edith.

— Venga su anche Lei, venga a veder com’è bella.

Don Innocenzo sulle prime si oppose, ma Edith volle accontentar quella povera donna e salì con lei dall’inferma. In cucina due fanciulle giocavano sedute a terra. Il padre, curvo sul fuoco, stava riscaldando un caffè; non si mosse nè a salutare nè a guardare. Chiese bruscamente a sua moglie:

— Devo portarglielo?

— Oh, Signore! — diss’ella sconsolata.

Egli proferì, con voce rotta, poche parole iraconde e sedette, cupo, sul focolare.

L’ammalata era una fanciulla di dodici anni, bionda, delicata, che moriva tranquilla, credendo di guarire.

Edith ridiscese pochi minuti dopo nella via dove suo padre e don Innocenzo l’aspettavano.