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— Può essere, ma non credo, perchè il conte Le ho detto in che stato è, la marchesina non lo poteva soffrire quando fu qui l’altra volta, e i Salvador non lo conoscono.
— E che cosa fa qui?
— Ma! sa bene cosa si diceva di lui? Pare che venendo in questo momento abbia messo una spina negli occhi della marchesina e dei Salvador.
— Per l’eredità? Oh questa è bugia, questa è calunnia! — disse Steinegge concitato. — Mi scusi, Ella non sa, signor parroco, Ella non creda. Il signor Silla non è niente affatto quello che si diceva e giuro che non è venuto qua con questa cosa vile nel cuore.
Don Innocenzo gli accennò di tacere. Marta, sulla porta della cucina, contendeva a Edith il vassoio del caffè.
— Ma no — diceva — ma no, son mica cose da far Lei, queste. Bene, faccia un po’ come vuole, là!
Edith veniva a passi corti, sorridente, un po’ compresa della sua missione, tenendo gli occhi sulle chicchere a fiorami rossi e verdi, sulla zuccheriera pure a fiorami, sul bricco che traballava. Il fuoco del tramonto le batteva in viso, batteva sul vassoio, sulle mani sottili.
— Non sai — le disse suo padre in tedesco, impetuosamente — che il signor Silla è qui?
Ella si fermò e tacque un momento, senza fare altro segno di sorpresa. Poi chiese quietamente:
— Dove, qui?
— Al Palazzo.
Venne a posar il vassoio sul muricciuolo e domandò a don Innocenzo se il caffè gli piaceva dolce o amaro.
Suo padre si stupiva di una tale indifferenza. Forse ella sapeva qualche cosa? Forse Silla le aveva detto una parola l’altro giorno?
No, Silla non le aveva detto niente, ed ella non sapeva niente. Osservò che il signor Silla poteva essere stato richiamato per telegrafo.