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CAPITOLO III.


Quiete.


— Come hanno fatto bene! Come hanno fatto bene! — ripeteva Marta correndo su per la scala della canonica a portar le valigette di Edith e di suo padre nelle stanze preparate per essi, a spalancar porte e finestre. Gridava dall’alto a don Innocenzo:

— È contento, mo? — Tornava giù in furia, tutta scalmanata, veniva a protestare che la canonica non era il Palazzo, che non avrebbero trovato questo, che non avrebbero trovato quello. Ardeva dalla voglia di dare un bacio a Edith, ma non osò. Steinegge, impolverato come una vecchia bottiglia di Bordeaux, protestava dal canto suo contro tanti complimenti, esclamando, giungendo le mani, gesticolando: e don Innocenzo, cui lucevano gli occhi dal piacere, gli dava ragione contro Marta, diceva di credere che sicuramente i suoi ospiti si sarebbero trovati bene in casa sua: altrimenti non li avrebbe pregati di venire. Allora Marta si voltava contro il padrone.

— Ma ha da dire queste cose Lei? Ma tocca a Lei dire queste cose? — Bene, bene — rispondeva il povero prete vedendola inalberarsi — via, via, chetatevi. — Oh bella — soggiungeva poi, volto agli Steinegge — ho visto che ha lavorato tanto, che ha preparata tanta roba!

Qui Steinegge esclamava daccapo, e Marta, disperata di aver un padrone simile, scappava in cucina per non perdergli il rispetto.