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il Mirovich con qualche pena per la devozione sincera che portava alla contessa Fosca. Facevano mille supposizioni diverse, ricadevano sempre a dire, come la contessa Fosca, di non capirci nulla. Il Mirovich concluse:
— È proprio il caso di dire come i chioggiotti: Co se ga rasonao se ga falao.
Il Vezza disse qualche cosa, dopo un lungo silenzio, sulla pace profonda della notte; e il suo compagno pensando a Venezia, a’ tempi passati, mormorò la prima strofa della canzonetta che comincia:
Stanote de Nina...
— Bella, bella, bella! Avanti, avanti! — disse il commendatore. Nepo rientrò in loggia.
— Come va? — gli chiese l’avvocato.
— Peggio, peggio assai, pur troppo — rispose Nepo e passò oltre.
— Che brutto affare! — sospirò l’avvocato.
— Ma!
Lo zampillo del cortile parlò solo per un momento dietro a loro.
— Era malandato, già, in salute — disse il commendatore.
— Eh, sì.
— Adesso restava anche solo — tornò a dire il Vezza.
— Eh, questo sì.
— Quasi, quasi...
— Oh, lo credo anch’io.
Parlò ancora solo la voce blanda. Il Vezza gittò il suo sigaro.
— Che veleno! — diss’egli.
— Dunque? — soggiunse dopo una breve pausa.
— Cosa, dunque?
— La canzonetta?
— Ah, ecco — Stanote de Nina....
L’avvocato abbassò la voce, e la tramontana leggera