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— Bel discorso!

Egli scosse via l’occhialetto, prese sua madre per le braccia, le immerse gli occhi negli occhi e disse con voce soffocata:

— Se non c’è testamento?

La contessa pensò un poco, guardandolo.

— Resta tutto suo? — diss’ella. — Tutto di Marina?

Nepo si tirò indietro, allargò le braccia.

— Eh! — diss’egli: e soggiunse: — Allora ci penseremo.

Seguì un lungo silenzio.

— Perdi un bottone, viscere — disse la contessa piano con dolcezza.

Nepo si guardò il bottone che gli penzolava dall’abito, rispose nello stesso tono:

— Momolo che non guarda mai. Vado a vedere del conte.

— E il tiro di stasera? — disse la contessa mentre egli se ne andava. — Bello, sai!

— Per quello non ho nessun pensiero — disse Nepo. — Intanto hai sentito Catte, come li ha visti tornare a casa. Credo poi, anche a giudicare dalle parole di Marina, che nè scuse nè complimenti gliene abbia fatti certo. Vedrai che domattina, per non dire stanotte, l’uomo se ne va. Cosa vuoi pensare? Dopo che è partito l’altra volta a quel modo e per quella cagione! Lui lo ha detto a Mirovich come è venuto; ha detto che ha saputo in un paese qui vicino della malattia del conte. — Dunque vado.

Nepo trovò in galleria Catte a chiacchierare con l’avvocato e col Vezza che fumavano. Catte, veduto il padrone, se la svignò: gli altri due non avevano notizie precise dell’ammalato, dopo la partenza del dottore. Nepo si avviò in punta di piedi a pigliarne, e coloro ripresero il loro dialogo. Parlavano degli strani casi cui assistevano; il Vezza con l’interesse d’un egoista curioso;