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dando con gli occhi socchiusi oltre alla cerchia dei suoi uditori. Fece quindi un cenno rispettoso di saluto. Tutti si voltarono; era donna Marina.

Il gruppo allora si agitò e si scompose in movimenti diversi.

La contessa Fosca e Nepo si avvicinarono a Marina, gli altri fecero posto; tutto questo lentamente e senza parole. Nepo guardava la sua fidanzata con due grossi occhi stupidi, sgomenti.

— Buona sera — sussurrò Marina. Poichè il medico taceva, gli disse un po’ più forte con la sua voce noncurante: — Prego.

Ell’era vestita di nero o di azzurro carico; non si poteva distinguer bene. Appena si vedevano le linee eleganti della bella persona, i grandi occhi, il pallore uniforme del viso e del collo. Si guardò un momento alle spalle, quasi cercando una sedia. Nepo insistette perchè sedesse sul canapè, ma ella scelse una poltrona proprio in faccia al medico.

— Almeno — proseguì costui, incerto, magnetizzato dagli occhi grandi che lo fissavano — l’uso delle gambe... fors’anche, in parte, l’uso del braccio... dico in parte, in parte... si potranno ricuperare... e anche l’intelligenza... però, per l’intelligenza, è difficile, molto difficile.

Pareva pigliar involontariamente la intonazione dagli occhi di donna Marina.

Il commendatore Vezza li studiava da vicino quegli occhi, procurando di non farsi scorgere dai Salvador. Avevano un fuoco vago e febbrile, una espressione di curiosità intensa, qualche cosa di nuovo che colpì il commendatore.

Qualcuno entra; il signor parroco che viene a prender notizie. Il povero don Innocenzo, miope, imbarazzato, non riconosceva nessuno, salutava a sproposito, si scusava, suggeva l’aria con le labbra serrate come se il pavimento gli scottasse. Intanto il dottore si congedò.