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— Cosa ci è mai venuto in mente al medico di suggerir quel cialtrone lì! — disse Nepo evitando di rispondere. — Se avessi saputo che doveva poi anche tardar un giorno, avrei fatto venire io Namias da Venezia! Adesso tu starai male, mamma.

— Altro che male, altro che male! — gemette la contessa.

— Già; matto villano! Avrai bisogno di quiete — disse Nepo con un accento nuovo di premura filiale. — Andiamo, andiamo, lasciamola sola. Vi dico la verità che anch’io non ne posso più di prendere un po’ d’aria. Mi fa piacere Lei, avvocato, di andar a vedere dello zio. Io vado a prendere il mio cappello e passo dal cortile. Lei mi dirà dalla loggia se le cose vanno in ordine, come spero.

Dopo le dieci di sera i Salvador, il Vezza, l’avvocato e Silla erano aggruppati, in piedi, presso al tavolo del salotto. Ascoltavano il dottore che rendeva conto dello stato dell’infermo prima di andarsene a casa. Costui, vestito di nero alla moda di vent’anni indietro, ragionava sulla malattia, gittando in viso a quei diffidenti signori di città parecchi nomi greci e barbari, parecchie citazioni di autori e di giornali scientifici. La lucerna posata in mezzo alla tavola, col suo gran paralume scuro, lasciava nella penombra le persone e la camera, metteva sul tappeto una macchia luminosa circolare dov’entravano le grosse mani rubiconde del dottore che parlava. A suo avviso le cose procedevano in modo abbastanza soddisfacente. La gamba destra aveva riacquistati, in parte, alcuni movimenti e anche il braccio non era più completamente inerte. Nell’intelligenza e nella favella i progressi erano, per verità, meno sensibili, ma si poteva, anzi si doveva ritenere che col tempo si sarebbe ottenuto molto; se non la guarigione completa, almeno...

Colui era giunto a questa svolta promettente della sua prognosi quando si fermò alzando il mento e guar-