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— L’intelligenza dell’ammalato è oscurata, moltissimo oscurata; tuttavia qualche barlume, da ieri a sera in poi, mi dice il medico curante, ne appare ancora. Quando io ho saputo queste cose, ho esaminato ben bene la Giovanna, ho fatto le mie induzioni e mi sono formato il mio convincimento. Poi ho interrogato l’ammalato.
Il gran ventaglio della contessa Fosca le uscì di mano, le cadde dalle ginocchia. Nè lei si piegò nè altri si mosse a raccattarlo.
— Ho dovuto interrogarlo, per la sua condizione, a più riprese. Già non si poteva pretendere che rispondesse più di sì e no. Ho cominciato con domandargli se qualcuno era stato in camera durante la notte. Niente. Ho ripetuto la domanda. Era forse troppo lunga; mi guardava e non tentava neppure di rispondere, nè con le labbra nè col capo. Allora ho provato a dirgli addirittura: un uomo?. Non risponde ancora. Una donna? Oh! L’occhio e le labbra si muovono, qualche cosa vogliono dire. Lo lascio quieto un’ora. Intanto ci fu progresso nelle condizioni della intelligenza e della lingua. Domandò alla Giovanna da bere. Appena partito il medico tornai alla prova. Dico: il nome di quella donna! Non mi risponde, ma un momento dopo, mentre mi chinavo sopra di lui con un cerino per esaminare la cute, si mette a tartagliare. Gli accosto l’orecchio alle labbra, mi par di capire: — famiglia; — io suppongo che desideri veder loro, gli rispondo qualche cosa, gli dico di star tranquillo. Egli seguita; io ascolto ancora, credo intendere un’altra parola, provo a dirgli — Cecilia! — Tace subito, e vorrei, signori, che aveste veduti quegli occhi come si dilatarono, come mi riguardarono, quale espressione prese il viso sfigurato di quell’uomo. Adesso un’altra cosa. Chi dorme nell’ala destra del palazzo, oltre il conte?
— Perchè domanda questo? — disse Nepo.
— Posto che una persona, oltre l’ammalato, dorma