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letto. La tazza fu certo scagliata, ed era piena d’acqua, perchè se ne trovarono spruzzi sul pavimento, se ne trovò bagnata la manica destra della camicia del conte. Io poi vado avanti, e siccome la tazza era tuttavia intera, dico che percosse un corpo molle e cedevole, tale da spegnere il colpo e da render possibile ch’essa cadesse a terra senza spezzarsi. Cosa potè essere? Ma è evidente cosa potè, cosa dovette essere. Dovette essere l’abito a cui apparteneva questo bottone.
Nepo afferrò il bottone che il frate gli tendeva. Era un grosso bottone coperto di stoffa azzurra e bianca. Nepo lo riconobbe subito. Apparteneva a una veste da camera di Marina.
— Hum! Non lo conosco — diss’egli guardandolo attentamente.
— La signora forse potrebbe dircene qualche cosa. Faccia vedere alla signora.
— La contessa, vuol dire? Oh non lo conosce certo. Non è vero, mamma, che di queste cose io m’intendo più di te? Non è vero che se avessi veduti anche una volta sola bottoni simili addosso a qualche persona della casa, adesso riconoscerei questo?
La contessa Fosca ardeva di vederlo e leggeva in pari tempo negli occhi di Nepo un divieto. Non sapeva risolversi.
— Oh Dio — diss’ella — questo sì, sei famoso. Ma... in due... oh? Un’occhiata ce la posso dare anch’io, no?
— Figurati — rispose Nepo, e le parlò con gli occhi fissi. — To’ — diss’egli — guarda pure. È inutile, già. — La contessa prese il bottone, si alzò dal canapè, e andò alla finestra dove s’indugiò qualche tempo, toccando quasi colla fronte i vetri, voltando le spalle agli altri che tacevano e aspettavano tutti in piedi, immobili.
Ella si voltò, finalmente, porse il bottone a Nepo, disse al frate, che la guardava col capo chino e le mani sui fianchi: