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tagne dritte come muri, per quella casa della malinconia. Anch’egli, come la sua vecchia amica, non ne poteva più; non vedeva l’ora di sentirsi gridare «sià premi» e «sià stali» sotto le finestre.

Finalmente il frate ritornò e Silla discese in giardino.

V’era il commendator Vezza che si divertiva a gettare del pane ai cavedini. Silla lo evitò, attraversò il cortile per uscire dal cancello. Passò accanto alla porticina della darsena, guardò le barche, guardò su per la scaletta segreta che serve all’ala destra del Palazzo. Vuoto e silenzio. Oltrepassò il cancello e, fatti pochi passi sulla strada di N..., si voltò...

Lassù la nota finestra d’angolo era chiusa. Il sole, declinando, batteva sulle persiane, sulla grande muraglia grigia, scintillava sulla magnolia lucida del giardinetto pensile. Di vita umana non vi era indizio. Silla fece un lungo passeggio vagando per i sentieri più solitari e tornò al Palazzo dalla stessa parte. La finestra era ancora chiusa benchè il sole non battesse ormai più che sui tetti. Silla rientrò in casa, con il presentimento che Marina non avrebbe dato segno di vita durante il giorno, ma che la vedrebbe nella notte.