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e poi per tutto il resto...! Venga, venga. Chi sa come sarebbe contento se lo potesse riconoscere!

Appena si vedeva, entrando nell’afa della camera, la testa dell’infermo come una macchia oscura sul cuscino biancastro, e seduto, presso alla finestra socchiusa, il medico curante. La Giovanna si accostò al letto con Silla, si chinò su quella povera testa e sussurrò qualche parola. Il conte guardò Silla con due occhi torbidi, poi si volse lentamente a Giovanna e mosse le labbra. Ella vi accostò l’orecchio, raccolse a stento questa parola:

Beive.

Per lunghi anni non gli era venuta alla bocca parola alcuna nel dialetto natìo, se non in qualche momento di sdegno; tornavano adesso nelle ombre sinistre della morte. La malattia fulminea lo aveva atterrato, spogliato in un secondo della sua forza imperiosa, della sua intelligenza rapida, della sua memoria tenace di tante cose, di tante persone: lo aveva risospinto dalla forte vecchiaia alla infanzia, radendogli dalla mente tutto, fuor che le prime voci apprese ne’ primi anni.

La Giovanna gli diede da bere, poi tentò di richiamare la sua attenzione a Silla.

— Basta — disse la voce del medico nelle tenebre.

La donna uscì con Silla, accorata. Incontrarono il frate nel corridoio.

— E così — diss’egli. — Niente, eh? lo sapevo bene.

— E cosa ne dice? — gemette la Giovanna.

— È presto, cara la mia tosa. Bisognerebbe sapere se avremo o no un secondo attacco. Certo occorre che il giuoco non si rinnovi, altrimenti me lo ammazzano di colpo. Ci hai detto nulla a questo giovinotto?

— Signor no.

— Bene, senti, Giovanninetta, vorrei che mi accompagnassi a veder la casa. Dopo mi farai preparare una sedia in loggia perchè possa fumare un poco. Se non fumo, tra un quarto d’ora scoppio.