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— C’è il nostro, quello nuovo, e il signor padre Tosi. È arrivato da Lecco stamattina. Aspetti. Ci ho un biglietto per Lei dalla signora donna Marina. Lei non deve dire a nessuno che ha trovato me, e io ho da dir niente che ho trovato Lei.
Silla prese il biglietto che non aveva indirizzo. Non poteva venir a capo d’aprirlo, tanto le mani tremavano. Finalmente lo aperse e vi lesse. — Silenzio sul telegramma. — Intanto il Rico emise un fischio acutissimo.
— Perchè, silenzio? — pensò Silla — e come è possibile?
Ripose il biglietto e chiese al ragazzo della malattia del conte. Il conte non si sentiva bene da qualche tempo. La mattina del giorno prima era stato trovato a terra, fra il suo letto e l’uscio, svenuto, con la fisionomia stravolta. Soccorso, si era un po’ riavuto. Però la Giovanna diceva che non aveva più ricuperato la parola nè l’intelligenza. Era una testimonianza gravissima che colpì Silla. Se il conte non parlava nè intendeva, come spiegare il telegramma di Cecilia? Poteva esserci stato un lucido intervallo. Ma se il telegramma era menzognero, si spiegava bene il biglietto.
— Chi c’è adesso nel Palazzo? — diss’egli.
— C’è il signor sposo, la sua signora mamma, la signora Catte, un signore vecchio di Venezia, che è poi uno dei signori compari, e un altro signore che è stato qui ancora quando c’era Lei.
— Finotti?
— Signor no.
— Ferrieri?
— Signor no.
— Vezza?
— Vezza, Vezza, signor sì, Vezza, che è poi l’altro compare.
Il cancello del giardino era aperto. Il Rico si cacciò fra gli abeti e scomparve. Silla discese verso la scalinata.