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la donna da lei più invidiata sulla terra, che quella gente lì non capiva niente. Disse che avrebbe voluto sapere da lui se andassero d’accordo in tante altre cose, lo invitò ai suoi lunedì e finì porgendogli, con un sorriso, la sua tazza di thè vuota.

— Guarda l’Antonietta — disse una signora a donna Mina. — Adesso comincia a parlar d’amicizia. Non credi?

— Ma lui, chi è? — rispose donna Mina, distratta.

— Un certo Silla, nipote di filandieri, credo, che fila dei libri clandestini.

Giulia gittò due parole nell’orecchio a un giovane, che andò quindi spargendole qua e là, sottovoce, e poi s’accostò sorridendo al maestro M... che sorseggiava il suo thè in disparte. Il giovane pareva domandare qualche cosa e il maestro schermirsi. Più persone gli si strinsero attorno insistendo con la voce e il gesto. Donna Giulia gli mandò senza muoversi una delle sue vocine toccanti. Allora colui si arrese e mosse, tra i — bravo — sommessi, verso la sala da musica, gemendo.

— Ma... non saprei... veramente. — Giulia gittò altre due parole nell’orecchio del suo primo ministro e, passando presso a Silla, gli disse piano e rapidamente, senza guardarlo:

— Lei resti qui con me.

Tutti si avviarono nella sala da musica.

— Cosa suonerò? — disse il maestro, seduto davanti a un magnifico Erard, con le mani sulle ginocchia, guardando la candela di sinistra.

— Ci suoni Frühlingsnacht — gli sussurrò con la sua voce timida la contessa Antonietta, che suonava ella pure stupendamente.

— Oh, troppo poco — disse l’agente segreto di donna Giulia.— Ci vuole un gran pezzo di concerto.

A quel tempo regnava ancora Thalberg. Qualcuno propose la sua fantasia sulla Sonnambula.

— Ecco il temporale — disse donna Giulia a Silla,