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Fu un soffio agghiacciato. Giulia, che stava preparando il thè, corse rossa rossa incontro a donna Mina Mirelli, una bella piccina, rotonda, pallida, con gli occhi neri.

— Oh, cara, cara! — diss’ella. — Non ti speravo più.

— Che vuoi? Mio marito ha mandato a chiamarmi a teatro per Max. Sai com’è mio marito. Max aveva tossito una volta, non era niente. Intanto io mi son tutta rimescolata... buona sera, Laura... E son venuta a compensarmi da te... — buona sera, Emilia. Ho fatto bene? — Buona sera, buona sera. — Tutti si erano ricomposti, facevano ressa intorno a donna Mina per salutarla, con un fervore insolito. Giulia tornò al suo thè. Dame e cavalieri rimasero in piedi, conversando di certe cose, della commedia, del principe di Piemonte che vi assisteva, di madamigella Desclée a cui le signore facevano qualche piccola censura. Gli uomini approvavano per cortigianeria; in cuor loro andavano tutti pazzi della Desclée. Silla che l’aveva udita una volta sola, ne prese la difesa; parlò del suo sguardo magnetico, del sorriso, della voce intelligente, di quel je t’aime dolce e grave che faceva pensare alla voce della regina Yseult nel verso di Maria di Francia:


La voix douce et bas li tons.


Non era corretto, in quella riunione, il calore del suo parlare. Molti ne sorrisero: pure, a taluna, questo giovane che ragionava con tanto fuoco della grazia e della bellezza non dispiacque. Lo punsero con qualche epigramma a fior di labbro, accentato di freddezza beffarda; ma poi più d’una gli rivolse la parola chiedendogli a bruciapelo, indiscretamente, delle sue opinioni e dei suoi gusti. La contessa Antonietta V..., una brutta sentimentale, amante di Heine e di Schumann, se lo trasse vicino per dirgli in segreto che lo approvava, che la Desclée era