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puramente statistico, per lo più inglesi; nessun libro entrò sotto il regime del conte che trattasse di letteratura, nè d’arte, nè di filosofia, nè di economia pubblica, quasi nessuno che venisse di Germania, perchè egli non sapeva il tedesco.

Era là, seduto al tavolo; una lunga e magra figura nera. Si alzò all’entrare di Silla, gli venne incontro e gli disse con accento, spiccatissimo:

— Voi siete il signor Corrado Silla?

— Sì, signore.

— Vi ringrazio molto.

Proferite queste parole con voce dolce e grave, il conte strinse forte la mano al giovane.

— Suppongo — riprese poi — che vi siate meravigliato di non avermi veduto iersera.

— Di altre cose piuttosto... — Continuò Silla, ma il conte gli troncò le parole.

— Oh bene, bene, mi fa piacere perchè sono gli asini e i furfanti che non si meravigliano mai di niente. Però il mio segretario Vi avrà detto, in italiano o in tedesco, che io uso di coricarmi prima delle dieci. Vi pare un’abitudine meravigliosa? Lo è veramente, perchè la tengo da venticinque anni. E come Vi ha condotto quel briccone di vetturale?

— Benissimo.

Il conte fece sedere Silla, sedette egli stesso e soggiunse:

— Ora vorreste sapere dove vi ha condotto?

— Naturalmente.

Silla tacque.

— Oh, comprendo bene il vostro desiderio, ma mi permetterò di non dirvi niente fino a stasera. Intanto voi mi fate il favore d’essere un amico che viene a regalarmi il suo ozio annoiato, o un letterato che vuole assaggiare dei miei libri o del mio cuoco. Che diavolo, io non parlo di affari con un ospite appena entrato in casa mia.