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sottovoce, dopo tanto silenzio, con la primavera blanda, di raccontarle tutte le tristezze dell’autunno e dell’inverno, come se fossero passati de’ secoli. Dunque senta. Io non la stimavo. Premetto questo: nelle mie ore di sconforto ho sempre avuto lo stolido istinto di qualche fatalità oscura che mi domini. Ora Suo padre non ha potuto raccontarle tutto perchè non sa tutto. Io mi confido alla primavera blanda. Qualche tempo fa ho pubblicato un libro anonimo, intitolato Un sogno.
— Si potrà leggere? — chiese Edith.
— Lo leggerà. Poco tempo prima ch’io partissi pel Palazzo, capitò, alla tipografia ond’era uscito il libro, una lettera diretta all’autore di Un sogno e sottoscritta Cecilia. Era una lettera sfavillante di spirito sarcastico, intarsiata di motti francesi, profumata, in cui si parlava molto di fatalità e di destino. Il tono di questa signora Cecilia non mi era pienamente simpatico, ma pure la lettera aveva un certo fascino d’ingegno e di stranezza: e poi, sorrida pure, blandiva il mio amor proprio che ha ben di rado assaporato la lode pubblica, e trovava una dolcezza molto più delicata nelle parole direttemi segretamente da una lettrice sconosciuta. Vede se Le confido anche le mie miserie. Insomma risposi. La replica di Cecilia mi capitò la vigilia della mia partenza per il Palazzo. Era piena di frizzi e di domande curiose, impertinenti. Decisi di rompere; le scrissi un’ultima lettera che cominciai a Palazzo e spedii qui nei due giorni in cui venni a prender i miei libri. Lei sa da Suo padre per qual ragione e in qual modo partii dal Palazzo. Quel giorno stesso avevo scoperto per caso, indovini!... che Cecilia era donna Marina. Nella notte parto, trovo lei nella sua lancia. Avemmo un colloquio violento. Sopravvenne un temporale; dovetti ricondurla a casa. Non le dirò come nè perchè, ma fui tentato fieramente di non partire più. Mi strappai da lei gittandole il suo finto nome, Cecilia. Fuggii pieno di sgomento, pieno