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le sue velleità letterarie, per i suoi cuochi di prima riga e per gli amanti di quarta che le si attribuivano. Un acre sapore di sensualità elegante saliva da quel terrazzo nella purezza della sera, un’aura di mille piaceri squisiti, raffinati dallo spirito, come l’odore indistinto di leccornie che dalle cucine sotterranee d’un grande albergo fuma nella via. Ma lassù nelle grandi ondate del vento questo filo di fumo mondano si perdeva. Lassù si respirava una dolcezza simile alle malinconie indefinibili dell’adolescenza casta, un turbamento d’affetto che non ha uscita, un desiderio di aprire il cuore. Silla non pensava a cosa alcuna; gli tornavano in mente i ricordi di paesi lontani, vaghe sensazioni amorose della sua prima giovinezza, cadenze in minore e versi di canzoni popolari; uno fra gli altri che lo perseguitava quel giorno, un verso marchigiano, quanto dolce!


Boccuccia riderella spandifiori.


— Signor Silla — disse Edith sorridendo — Ella resta qui?

Egli si scosse, si voltò in fretta e si scusò della sua distrazione.

Edith e Steinegge non attendevano che lui. Edith aveva un soprabito grigio scuro e una toque nera, con il velo calato.

— È un peccato — le disse Silla — di dover scendere.

— Lei amerebbe camminare nelle nuvole?

Egli la guardò un po’ piccato, notò la recondita tristezza del suo sorrise e tacque.

— Scusi — diss’ella — non ho poesia.

Non aveva poesia, forse; ma ve n’era tanta nella voce con cui lo disse, nella graziosa persona illuminata dal sole cadente!

— Andiamo, dunque — disse Steinegge.

— Non è possibile — rispose finalmente Silla a Edith, nell’uscire.