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Der Ochs ist krank. Dieci giorni?

— Va bene, scrivete. Dieci giorni. Io non fumo, io profumo così un poco ogni tanto per il mio naso il mio cervello.

Steinegge rise allegramente.

— Mia figlia crede — soggiunse sottovoce — che io fumo due sigari al giorno... Ooh, fff! sarebbe una pazzia. Io accumulo denaro. In cinque mesi venti lire! È qualche cosa. Eh? Non è male. Avete scritto? L’asino... l’asino... l’asino... Dov’è quest’asino? Ah, l’asino è magro.

Der Esel ist mager.

— Scrivete. Questo è l’ultimo; questo è profondo. Dunque io voglio fare un piccolo regalo...

Steinegge accennò col pollice rovesciato all’uscio cui voltava le spalle.

— Voi mi consiglierete. Voi siete un giovane molto elegante.

Silla sorrise. Tutta la sua eleganza brillava in una spilla, una grossa perla cinta di rose d’Olanda legate in argento, ricordo di sua madre. Portava sempre guanti scuri, cravatte scure, abiti scuri. Aveva bensì la persona elegante, e le vesti, anche dozzinali, ne pigliavano nobiltà. Ma in fatto gli si vedevano certe lumeggiature sul dorso delle maniche da’ gomiti in giù, e certe sfumature di colore intorno al bavero, punto richieste dall’eleganza.

— Guardate — diss’egli, spingendo a Steinegge il foglio di carta dove aveva scritto.

— Prego perdonare, perchè io sono cieco come un conte Rechberg — rispose Steinegge, traendo la busta degli occhiali e applaudendosi con una risata. Spense il sigaro e inforcò gli occhiali sulla punta del naso. Leggeva con le sopracciglia alzate e con la bocca aperta; pareva si studiasse di guardarvisi dentro.

Silla prese la grammatica che aveva trovata in una tana di libri vecchi presso il Duomo. Era certo appartenuta a qualche allegro scolaro dei tempi austriaci che l’aveva