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sticciati, e ha in mezzo il signor Corrado Silla, autore di Un sogno, domiciliato in Milano, via S. Vittore.

« Ti racconterò il gruppettino di casi che me l’han fatto scoprire, ma un’altra volta; quando potrò dirti qualche cosa di più.

« Adieu, ma belle au bois dormant. Domani viaggio per affari; vado a ballare a Bellagio. Poveri myosotis! Chi se ne ricorda? Stavolta sarò in bianco. Avrò dei coralli e avrò anche delle magnifiche alghe del Baltico che mi manda G... da Berlino con un sonetto. Quello non l’avrò.

« Giulia. »


Si batte alla porta e la voce di Fanny disse:

— La non viene? La non si sente bene?

— Vengo — rispose Marina. Balzò in piedi e con un impeto d’orgogliosa gioia stese all’indietro le braccia aperte, alzò il viso trionfante, guardò in alto, davanti a sè. Si slanciò fuori, scivolò giù dalle scale e in loggia trovò Nepo, inquieto.

— Finalmente, angelo mio! — diss’egli. — La mamma ha parlato allo zio. È contentissimo. E voi?

Le cinse con un braccio la vita, aspettando.

— Felice! — diss’ella e gli sgusciò di mano con una delle sue risate argentine che suonò via per la loggia e al di là dell’altra porta nella sala di conversazione, dove tutti, tranne il conte Cesare, si alzarono in piedi ed ella passò correndo leggera come una fata, con un cenno del capo e un sorriso.

— Atalanta, Atalanta — disse il commendator Vezza, guardandole dietro. Nepo entrò a precipizio, tutto rosso, con gli occhi che gli schizzavano dalla testa, incespicò sulla soglia e venne ad abbracciarsi al Vezza per non cadere.

— Scusi, caro commendatore — diss’egli con un impertinente tono corbellatore — speravo abbracciare qualche cosa di meglio.