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in ombra; ma non esprimeva curiosità bensì commozione e stupore. Difatti, se quello specchio avesse potuto serbare le immagini ripercosse durante la sua vita sterile e vana, vi sarebbero apparse, fra le altre, una testa malinconica di donna, una testolina gaia di fanciullo, molto simili tra loro nei lineamenti e negli occhi. Come talvolta in un’acqua cheta le montagne si contemplano ridenti al mattino, indi la nebbia le invade e le oscura sì che lo specchio pare voltato col piombo all’insù: finalmente quel velo si solleva alquanto e ricompaiono nell’acqua le facce brune dei monti, così ricompariva nel vetro fedele, dopo molti anni, la immagine del fanciullo, fatta pensoso viso virile.

Silla si voltò, si avvicinò tremando al letto, lo guardò lungamente; deposta la candela a terra, giunse le mani, si piegò a baciare il legno freddo e lucente. Poscia, rialzatosi, uscì in due salti sulla scala, senza prendere il lume. Un cieco istinto lo spingeva a cercare il conte all’istante, a parlargli. Ma tutto era buio e silenzio, non si udiva che il tic-tac dell’orologio. Il signor Steinegge era già sicuramente a letto; e poi, avrebb’egli saputo rispondere? Silla tornò pian piano in camera. Sul chiarore della candela, posata a terra di là dal letto, questo si disegnava come un gran dado nero. Se qualcuno vi fosse stato a giacere, non lo si sarebbe visto; e la fantasia di Silla poteva ben comporvi tal persona che vi aveva riposato un tempo, raffigurarvela malata, schiva del lume triste, sopita, forse, ma viva. S’avvicinò al letto in punta di piedi, vi si buttò su a braccia distese.

Ella dormiva altrove, in una camera più angusta, sopra un letto più freddo, la madre sua pura e forte; ma a lui pareva sentirvela ancora; si sentiva tornare nel cuore la fanciullezza, tante minute memorie del letto e della stanza, l’odore di una cassettina di sandalo cara a sua madre, tante parole indifferenti di lei, della gente di casa, tanti diversi aspetti di quel viso scomparso. Quando