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che un signor Silla, di Milano, è amico di mio padre, il quale non ha forse altri conoscenti in quella città. Per questo ho pensato ch’Ella volesse alludere a lui e ho proferito il suo nome. Mi dica, ora, se crede, cosa desidera da me pel caso che io conosca a Milano questo signore.

Marina stette un momento pensosa, con l’indice al mento, come se un e un no si dibattessero nel suo segreto; indi parve salir dalla terra una vampa nella bella persona. Ella fremè da capo a piedi, protese il petto ansante, le sue labbra si apersero, nessuno può dire quello che dissero gli occhi. Edith trasalì, attese parole imprevedute.

Ma le parole non vennero. La bocca si chiuse, la persona ricompose, la strana luce degli occhi si spense.

— Niente — diss’ella. — Andiamo.

Edith non si muoveva.

— Venga — ripetè Marina. — Ella è troppo tedesca. Mi basta di sapere dove il signor Silla abita e cosa fa. Me lo scriva subito. Vuole?

— Signorina — disse Edith — anche in Germania si può comprendere e sentire qualche poco. Non desidero sapere i Suoi segreti, ma se posso fare un’opera buona per Lei...

— Ah, virtù! Egoismo! — disse Marina. Una vecchierella curva sotto una gran gerla di fieno sbucò tra stalla e stalla davanti a lei, si fermò e a gran fatica le alzò incontro la testa con un sorriso di bontà e di meraviglia, dicendo:

Reverissi. Son venute a fare una passeggiata?

Era un’immagine di miseria sucida, sorta dal suolo fetido e dalle vecchie stalle diroccate, scalza, con degli stinchi magri e neri di uccello da preda, con il mento appoggiato a due lisci gozzi rossicci e un guazzabuglio di cernecchi grigi sulla fronte. L’occhio era dolce e sereno.

— Che vita, povera donna! — disse Edith.