stata assegnata, egli non aveva punto sonno. Ritto in piedi e immobile, fissava la fiammella della candela, come se quella chiara luce avesse potuto dissipare le ombre del suo cervello. Si scosse a un tratto, pigliò il lume e intraprese un viaggio che riuscì forse meno istruttivo, ma più commovente di quell’altro famoso del conte De Maistre. La stanza era grande, alta e quadrata. Un pesante letto di legno scolpito: di fronte al letto, fra due larghe finestre, un cassettone coperto di marmo bianco: sopra il cassettone, una cornice dorata intorno a certa figura curiosa, mezza in luce, mezza in ombra, che si moveva con una candela in mano: una scrivania: alcune grandi seggiole a bracciuoli: ecco quanto uscì dall’ombra sotto il lume indagatore che andava lungo le pareti, ora salendo, ora scendendo, ora a curve, ora a zig-zag come un fuoco fatuo, non senza molte incertezze. A capo del letto pendeva un’ammirabile testa d’angelo pregante, dipinta alla maniera del Guercino. Quasi supina, si sporgeva per iscorcio. Nella bocca socchiusa, nelle nari dilatate, negli sguardi, direi quasi, veementi passava lo slancio della intensa preghiera. Si sarebbe detto che quei guanciali fossero usi sorreggere la testa di grandi peccatori, e che nelle ore del sonno, quando giacciono interrotte le immagini e le opere della colpa, uno spirito pietoso alzasse le grida a Dio per costoro. La fiammella della candela di Silla pareva affascinata da quel quadro. Se ne ritraeva talvolta con impeto, ma per fermarsi tosto e tornargli appresso e percorrerlo di su, di giù, per ogni verso, guardarlo da destra, guardarlo da sinistra. Poi se ne staccò lentamente e rifece la via di prima, quasi ne fosse rimasta in aria la traccia, seguendo le stesse giravolte, prendendo le stesse salite e le stesse discese. Stavolta qualche cosa era mutato lungo la via. Quando il lume giunse di fronte a quella tal cornice sopra il cassettone, vi apparve tuttavia dentro la figura mezza in luce, mezza