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Gli era nuovo quell’aspetto lagrimoso di sua cugina, e gli piaceva ancor meno degli altri. Dopo qualche momento di silenzio in cui la contessa si tenne il fazzoletto sul naso e sull’occhio sinistro, il conte voltò il capo verso di lei e continuando nel maneggio della gamba e ribattendo col dito medio della mano destra Dio sa che nota sulla tavola, disse:

— Dunque?

— Dunque, oh Dio, qui vedo certe cose che mi fanno paura. Mi capite. Anche in delicatezza non posso tacere. I ragazzi son ragazzi, si sa; ma noi altri dobbiamo aver giudizio anche per loro.

— Avete paura? Ma ditemi un poco, non era la vostra intenzione questa?

— La mia intenzione, benedetto? Ma no che non era la mia intenzione. La mia intenzione era di farvi conoscere mio fio, di fare che gli voleste bene, che gli deste dei buoni consigli anche su questo punto del prender moglie. Mi ha rifiutato due o tre partitoni, proprio coi fiocchi, non so perchè. Ho cercato, ho fatto cercare se avesse qualche intrigo, qualche pasticcio. Niente, non ha niente. Non è mica un frate, grazie a Dio, e avrà fatto anche lui, si sa, quello che fanno tutti i ragazzi, sfido! però con prudenza, con giudizio, da vecio. D’impegni neppur l’ombra. Dunque? Questa cosa non mi lascia dormire. Io non posso parlare. Egli crede che si cerchi solo l’interesse. Oh Dio, madre sono, e devo pensarle tutte. Lui non vede che il cuore, lo spirito, il talento, la bellezza, il suonare, il cantare e tante altre cose fatte di aria e niente come queste. Cose ottime, ma non bastano. Pensai che forse per ora non volesse legarsi. Ma no; seppi di certo che l’idea l’aveva; un’idea, là, per aria. Son dunque venuta, vi torno a dire, perchè gli deste dei buoni consigli. Marina? Ecco il mio torto. Non ho pensato che poteva innamorarsi di Marina. Sentite, Cesare. Io sono Betta dalla lingua schietta. Parliamoci